L'uomo e i segni. Poesie
Autore : Walter Nesti
Collana : Il Crivello
ISBN:9788860393999. , Anno 2016
pagg. 82; cm 14X21 Italiano
Br.
€ 12.00
Descrizione
Ho cercato di raccogliere, in questa introduzione, i segni dell’uomo, quelli che Walter ha lasciato tra le crepe del muro assolato, sotto il sasso etrusco, all’ombra severa del cipresso centenario e lì seduta, mi sono lasciata rapire dall’anima vigorosa di questo poeta di rara forza che con la semplicità di una brezza estiva che dà sollievo nella calura, allieta lo spirito del lettore affamato in cerca di ristoro e lo nutre con l’aroma di un pane appena sfornato.Cercherò, nella speranza di riuscirvi, di proporre una chiave di lettura, di preparare il lettore alla intensa carica emotiva della raccolta di Walter Nesti, come lui stesso si presenta al mondo, umile e riservato malgrado la bellezza dei suoi versi.
Ma come avvicinarsi alla sua poesia e come non rimanere storditi dalla bellezza dei suoi versi, dalla sua armonia rigorosa? “L’uomo e i segni”, raccoglie un certo numero di poesie scritte tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80 del novecento, qualcuna già pubblicata su riviste, e si presenta in tre capitoli ben distinti, le tre fasi della vita di Nesti che sono indispensabili per capire il ragazzo, l’uomo e il poeta.
Tre capitoli organizzati come una sequenza cronologica, che segnano i perché e i come di Walter appena adolescente, di Walter uomo e infine nella piena maturità, a fare i conti con quel ragazzo ancora riflesso negli occhi dei genitori anziani.
Nella “Prima stagione” si racconta di un passato che sa di terra etrusca, di ginestre, di giochi innocenti di ragazzo legati a doppio nodo al ricordo drammatico della guerra.
Le emozioni adolescenziali, le prime scoperte della carne sono legati indissolubilmente alla paura, al ricordo della distruzione, ai tormentati dubbi che si affacciano nel giovane del Poggio alla Malva.
Walter racconta come fiume in piena e stordisce con le descrizioni minuziose, con i frammenti di vita dipinti a parole come quadri e affidati alla memoria.
Ci invita a godere dei suoi pomeriggi estivi vissuti a rincorrere le lucertole assieme a lui tra le macerie delle case, inebriato dall’odore delle ragazze con i capelli scomposti e le ginocchia sporche, dove malgrado l’orrore della guerra nelle vene del giovane pulsava il desiderio, la curiosità, la gioia nello scoprirsi vivo.
Il gioco e la passione della vita che s’incontrano con la fame, il dramma della guerra ed assieme, a ‘braccetto’ accompagnano Walter adolescente e la sua voglia di crescere; Eros e Thanatos, passione e morte, pulsione e distruzione ma anche un fortissimo e salvifico legame con la sua terra, unica grande radice costante del suo sentire.
Le poesie di questo capitolo si leggono ad occhi chiusi e per una strana alchimia si avverte il calore del sole sulla pelle, si intravedono i verdi e i pruni del bosco, s’ode il rumore del camion sulla strada, lo sfrigolare incantatore delle ali di cicala.
La sensazione è quella d’essere spettatore privilegiato di un racconto che raccoglie il seme del poeta futuro e della sua inquietudine che si avverte feroce da subito, fin nel ragazzo, come l’amara consapevolezza di essere portatore di questo male che non si risolverà negli anni futuri: “Crescevi con le mani indifese/con il cuore pieno di vento alacre/nelle finte dei tuoi pugilati/raccoglievi licheni sui sassi/e oltre ogni muro di cinta/i prati verdi non avevano orizzonte/ma dentro l’urlo dei tuoi anni/si avviluppava il male dell’uomo”.
I versi sono di una bellezza perfetta quasi matematica tanto sono puliti, levigati, curati soprattutto nella scelta dei termini più forti che li rendono vivi e palpitanti sotto le macerie dei ricordi.
É questo un capitolo di importanza vitale per capire perché e come è nato il poeta Walter Nesti.
La seconda parte “La rabbia della vittoria” è un libro dentro il libro che forse contiene le poesie più raffinate dei tre capitoli, le più meditate, le più complesse nel linguaggio e nell’intento.
Fin dai primi versi si riconosce un sentimento di malinconico sconforto, non si intravede alcuna speranza nel futuro e si ripetono gli eventi del passato, i tormenti già conosciuti, non c’è dunque via di salvezza.
Walter ha portato in queste pagine tutta la sua rabbia taciuta per anni, divenuta ormai rassegnazione dove i ricordi del suo vissuto si intrecciano al presente e lasciano tutti gli uomini senza domani.
Nella lettura di questa parte traspare un malessere profondo, le parole risuonano nel buio come tamburi e si propagano sul foglio a raccontare di ferite mai rimarginate che ancora sanguinano e si riaccendono al ripetersi delle stesse situazioni vissute da ragazzo.
Questa è una poesia sociale che esce dal confine del colle amato e abbraccia tutto il mondo vittima degli stessi giochi di potere, delle stesse dinamiche di paura, degli stessi assassini che Nesti ricorda ancora così nitidamente.
La sua è una lucidità tagliente dovuta alla rassegnazione di fronte all’inarrestabile decorso della vita e al deludente ripetersi degli eventi.
Nesti delega al tempo dell’attesa la risposta al suo male, per salvare se stesso dall’insostenibile peso del dolore, ma questa non sembri essere una fuga; è invece una scelta coraggiosa, infinitamente dolorosa poiché non lascia tregua e si rinnova nella faticosa promessa ogni giorno, senza speranza, senza futuro.
Walter Nesti in questi tempi di furia è un poeta che sussurra anche la rabbia stessa.
Suo malgrado si scopre a tratti una sottile speranza, leggera come una piuma, effimera come un pensiero felice che la bellezza della natura e l’amore per la sua terra sempre gli porgono: “il vento/raffredderà la mota come lava/ma sarà tutto inutile/anche se nella fretta acquietata/il prigioniero profumo di ginestra/stordirà di follia la primavera”; e questa immagine di natura semplice e magica che lo accompagna, lo porta a scrivere un verso che quasi contraddice tutti gli altri anche se non ne cambia l’esito, ma come una perla al fondo dell’abisso apre un varco alla disperata denuncia dell’intero capitolo: “Amore scoppio improvviso/vene turgide tese nello scatto/quante volte ho fallito nell’attesa/ e ricomincio sapendo di sbagliare”.
“L’ultimo cordone ombelicale”, ovvero la terza ed ultima parte della raccolta è un omaggio alla memoria, all’amore, alla dolcezza di un desiderato abbraccio, un ultimo saluto.
Un cammino estremamente personale questa volta dove straripa il sentimento, il dolore che ancora lo invoca e chiede lutto.
Le prime poesie sono il resoconto dell’amore, della malattia e della morte della madre tanto amata, compresa e accudita con tenera devozione, ma sono le poesie scritte per suo padre le più intense.
Queste tra le righe dei versi, nascondono mille parole non dette, mille gesti non compiuti che smuovono ancor oggi le zolle e i continenti del suo sentire.
Un amore incompiuto, sospeso per questo padre che ha lasciato l’amaro in bocca e si percepisce in ogni parola scelta, in ogni pausa che finalmente rivela la verità taciuta.
In queste poesie sembra di sentire la sua voce di bambino, prima tremolante forse a svelare un rimpianto mai confessato, poi la comprensione per una “colpa se ci fu colpa” perdonata troppo tardi.
Questa terza parte è di una bellezza sanguinante che urla compassione, che cerca invano un rimedio al dolore feroce che ha sì perso le punte, ma pungente resta l’amara dolcezza di una frase mai pronunciata.
Tutto il libro è pervaso da un’attesa all’esplosione, da un sottile fremito verso un cambiamento che invece non avviene anzi, implode drammatico, disilluso nel continuo ripetersi del dramma, del non detto, del rimpianto.
Un finale a sorpresa, inaspettato che lascia nel lettore un intenso rammarico con il cuore ubriaco di versi sopraffini che tolgono la speranza con l’eleganza di una rondine e la crudeltà di una faina.
Samanta Tesi .
Un brano
Contributi
Proponiamo con piacere ai nostri affezionati lettori la recensione, firmata da Flavia Buldrini, della raccolta di poesie L’uomo e i segni, di Walter Nesti, uscita sul numero di giugno di “Literary”.L’uomo e i segni Questi versi sono intagliati sulla pagina come “i segni”, appunto, i solchi delle emozioni e delle passioni di questa “vicissitudine sospesa”, per citare Luzi.
Essi come echi rincorrono le tre salienti stagioni della vita: l’euforia della giovinezza, la disillusione dell’età adulta e infine il doloroso impatto con la morte.
Prima stagione, infatti, rievoca la selvaggia ebbrezza dei sensi, il cui ricordo è ancora ben vivo, legato agli odori e ai colori del paesaggio natio: “Dentro questa terra non potrai cancellarmi / noi abbiamo vissuto / in estasi di rugiada abbiamo sciolto / le nostre ore più vive / confusi al sole alla terra alle case / vere dell’uomo.
” La scoperta adolescenziale dell’Eros si scontra con il potere distruttivo di Thanatos, in cui l’esaltante ev.